Pasquale Frisenda

'La citt personale' - Un racconto di Dino Buzzati

Una piccola storia scritta negli anni '50 ma che, in tempi di Facebook, blog, forum e via dicendo, risulta quantomai attuale.

20/10/2011

"Come esistono le malattie del corpo, cos esistono le malattie dello spirito. Ma se i malesseri del corpo possono avvenire senza colpa, ci non possibile con quelli dello spirito: tutti i suoi disturbi e i suoi disordini nascono infatti dal rifiuto per la ragione e per la realt."
(Cicerone, Tusculanae Disputationes, Libro IV par.13-14)

In questo racconto di Dino Buzzati c' un uomo che ha una citt personale, abitata e governata solo da lui.
Una citt che di giorno l'orgoglio del suo signore e padrone, ben contento di non doverla condividere con nessun altro, a parte rari turisti, ma quando per cala la notte e l'uomo rimane solo con i suoi fantasmi, la sua sicurezza comincia a svanire.
Allora afferra quanto sia insensato il sogno di un feudo tutto per s; dove di sicuro non c' da confrontarsi con altre persone, e dunque altre idee e altre "Verit", dove diventa vero solo ci che piace e falso tutto ci che dispiace, ma dove, anche, non rimane che la nostra ombra a farci compagnia.

I personaggi di Buzzati sono sempre l'immagine emblematica della solitudine o della paura di essa, oppure di angoscie pressanti, e li si sentono vivi e credibili perch sono timori presenti ciclicamente in ognuno di noi.
I riferimenti del racconto sono vaghi, la citt di cui si parla non certo segnata sulle carte geografiche e non pu esserci: come la fortezza Bastiani, ai bordi di un immaginario deserto, o dell'umana esperienza.

La citt personale potete trovarlo in questi libri: www.fantascienza.com, ascoltarlo qui di seguito o leggerlo qui sotto.

Buon ascolto e/o buona lettura!



La citt personale - Un racconto di Dino Buzzati

Da questa citt che nessuno di voi conosce, mando notizie, ma non bastano mai.
Ciascuno di voi forse conosce o frequenta altri paesi; eppure in questo che dico nessuno mai potr abitare tranne io.
Di qui appunto l'unico ma indiscutibile interesse delle informazioni; perch questa citt esiste e che possa darne precise notizie c' uno solo.
N alcuno pu dire onestamente: che mi importa?
Basta che una cosa esista, anche se piccola, perch il mondo sia costretto a tenerne conto.
Figurarsi poi una citt intera, grande, grandissima, con quartieri vecchi e nuovi, labirinti interminabili di strade, monumenti e ruderi che si perdono nelle notti dei millenni, cattedrali traforate a filigrana, parchi (e al vespero i picchi che intorno giganteggiano stendono l'ombra loro sulle piazze dove giocarono i bambini), dove ogni pietra, ogni finestra, ogni bottega significano un ricordo, un sentimento, un'ora potente della vita!
Tutto sta, si capisce, nel saper descrivere.
Perch di citt sul tipo della mia ce ne sono al mondo migliaia, centinaia di migliaia; e spesso, posso ammetterlo, in questi agglomerati urbani abita uno solo, come appunto nel caso che personalmente mi riguarda.
Ma in genere come se queste citt non esistessero.
Quanti sanno darci soddisfacenti informazioni?
Pochi.
La maggioranza non sospettano neppure l'importanza dei segreti di cui sono partecipi, n si sognano di comunicarli, oppure mandano lunghe lettere zeppe di aggettivi ma quando si finito di leggerle per lo pi ne sappiamo come prima.
Io invece s.
E perdonate se pu sembrare una vanteria ridicola.
Poco, pochissimo, ma ogni tanto mi riesce, con grandi sforzi lo confesso, a trasmettere una idea sia pure incerta e vaga della citt a cui la sorte mi ha assegnato.
Di quando in quando, fra tanti miei messaggi che non vengono neppure letti fino in fondo, uno si fa ascoltare.
Tanto vero che, mosse da curiosit, piccole comitive di turisti arrivano alle porte e mi chiamano affinch io li meni in giro e faccia le adeguate spiegazioni.
Ma come raro accontentarli.
Loro parlano una lingua e io un'altra.
Si finisce per intenderci per mezzo di segni e di sorrisi.
Inoltre nei quartieri pi interni che interessano di pi io condurli non posso: assolutamente.
Io stesso non ho il coraggio di esplorare quei meandri di palazzi, di case e di tuguri (dove stazionano gli angeli o i demoni?).
Perci questi gentili visitatori generalmente li conduco a vedere le cose pi consuete, il Municipio, il Duomo, il Museo Croppi (si chiama cos) eccetera; che per la verit non hanno niente di speciale.
Di qui la loro delusione.
Non manca quasi mai, in queste volonterose comitive, un burocrate, un uomo d'ordine sovrintendente, ispettore, economo, commissario o simile, come minimo vice-commissario.
Il quale per esempio mi domanda: 'Potrebbe,signore, darmi qualche ragguaglio circa la rete delle fognature?'.
'Perch?' io chiedo imbarazzato 'si sente forse qualche odore?'.
'No, anzi, non per questo; ma questi problemi mi interessano'.
E io: 'Capisco, tuttavia temo di non potere soddisfarla. Suppongo che un sistema di fognature esista, ma non mi sono mai curato di studiarlo'.
Il signor vice-commissario scuote il capo: 'Male, male' mormora con superiorit 'bisognerebbe approfondire queste cose... E mi dica: l'erogazione del gas a quanto ammonta pro capite annualmente?'.
'Niente erogazione' faccio io a casaccio rovinandomi definitivamente ai suoi occhi.
'Come sarebbe a dire?'
'Niente erogazione, niente gas. Qui non si usa'.
'Ah' commenta quello, gelido, e rinuncia a fare altre domande.
Poi, di solito, c' la signora intellettuale, gi avanti con l'et, ansiosa di esibire la sua erudizione storica.
'La fondazione, scusi, risale al tardo impero?... Interessante quel gioco di lesene... lo si riscontra tale e quale nei propilei di Trebisonda... Lei lo sapeva no?'
'Ma... sa... io... vede... per essere sincero...'
Subito lei volge gli occhi a un vecchio muro con tracce di archi ormai otturati.
'Ah' esclama 'delizioso! Davvero di interesse estremo. Rarissimo, vero, trovare cos nettamente delineato l'innesto svevo su di un fondo di cos pretta marca carolingia. E mi dica, signore: esattamente a che anno risale questi singolare monumento?'.
'Gi' io rispondo vacillando nella mia ignoranza 'che mi risulti un muro vecchio. Esisteva fin dai tempi di mio nonno, questo sicuro. Ma di preciso non saprei'.
Poi, pi pericolosa ancora, c' la ragazza assetata di esperienze.
Si guarda intorno, subito avvista, con fulminea prontezza, le cose imbarazzanti.
'E quella strada', chiede facendo segno a un sinistro spacco fra case altissime, nere di sozzi stillicidi, dove probabile si annidino i delitti 'quella strada cos pittoresca dove porta? Mi ci vuole condurre, signore, vorrei fare delle foto'.
Per condurcela non posso.
Nel bieco vicolo che sprofonda con precipitose scalinate verso il fiume, neppure io mi sono mai inoltrato e penso che mai ci prover.
Paura? voi direte.
Forse.
Ma intanto mi accorgo che il sole, fino a poco fa addirittura soffocante da tanto risplendeva, sparito dietro le selvagge creste che sovrastano a breve distanza la citt.
Cala la sera, miei signori, con tutte le relative conseguenze, e strascichi di ombre salgono dal fiume dove gi qualche fanale al vento dondola.
Manca poco alla notte.
A questo punto i turisti sono presi da una oscura agitazione.
Consultano furtivamente gli orologi, confabulano fra loro, insomma chiaro che hanno fretta di partire.
La mia citt, purtroppo, non e precisamente allegra quando le ombre scendono.
E gli estranei si sentono a disagio.
Ma anch'io perdo la mia bella sicurezza, anch'io sento il buio prossimo incombere dal groviglio di vecchi quartieri portando non so che amaro peso, anch'io vorrei partire.
'E? tardi, dobbiamo andare, che peccato', dicono i turisti.
'Grazie di tutto. stato estremamente interessante'.
Non vedono l'ora di sloggiare.
'Scusate, non potrei venire anch'io?'.
Il vice-commissario finge di conteggiare le disponibilit delle vetture, poi fa una faccia desolata: 'Eh no, purtroppo, sono veramente desolato, non c' pi posto in macchina, siamo gi come sardine, davvero davvero spiacentissimo'.
'Oh aspettate, amici cari' dico io, sperando di non restare solo, infatti non facile, credetemi, passare una notte intera (lunga la notte) senza la minima compagnia nel mezzo di una grande citt anche se la citt propria, costruita con la propria carne ed anima, anima e carne: 'Oh aspettate, non abbiate fretta, di notte qui le strade sono pi sicure, e l'aria fresca, piena di profumi, ancora non avete potuto vedere niente, pazientate, miei cari. Per apprezzare debitamente questo posto, per vederlo nel suo splendore massimo conviene assistere al crepuscolo. Al crepuscolo, signori, il riverbero della nuvola di turno che il sole ostinatamente illumina si espande sui tetti, le terrazze, le cupole, i lucernari, le guglie delle antiche basiliche (dove furono incoronati i cesari) le vetrate delle gigantesche fabbriche, sui pulvinari, sulle cime delle querce le quali fecero ombra ai sonni di Clorinda. A questo punto fumi e remote voci si levano dalla profondit dei trivii e il cadente rombo dei macchinari (mentre la immobile luce della luna rende il cortile del carcere simile a un racconto delle fate) il cadente rombo forma un coro immenso ed armonioso, confondendosi con i sogni, con le speranze nostre. Oh, aspettate'.
Ma non vero, in tutta confidenza, quando la notte scesa trovarsi solo nel mezzo di questi spaventosi casamenti non raccomandabile.
Quando si fatto buio, nonostante la vivida luce dei lampioni, escono dalle porte coloro che non incontrare meglio: personaggi lontani, cari amici con i quali si viveva dall'alba al tramonto ininterrottamente conoscendo l'uno dell'altro i minimi pensieri, o ragazzette minori dei vent'anni, quelle che arrivavano raggianti all'appuntamento della sera.
Ma che hanno?
Perch non salutano, non mi gettano le braccia al collo?
E invece passano accanto con un impercettibile sorriso?
Sono offesi?
Di che cosa?
Hanno dimenticato tutto?
No.
Semplicemente gli anni!
Semplicemente non sono pi gli stessi.
Col tempo - quanto! - anch'essi, senza sospettarlo, si sono trasformati fin nelle pi riposte viscere, nei reconditi lobi del cervello.
Di allora non rimasto che un simulacro, il nome, ecco, e il cognome.
Mi passano accanto, silenziosi, come larve.
'Ciao Antonio', io dico, 'Ciao Rita, ciao Guidobaldo, come state?'
Non sentono, non voltano neanche la faccia, il ticchettio dei tacchi si allontana.
'Un momento ancora, vi prego, amici, egregi signori, illustrissimi, eccellenze. Perch scappate subito? Non avete visto ancora niente. Fra poco si accenderanno i lumi e le strade assomiglieranno a certe pagine di romanzi di cui non ricordo il nome. Nel giardino dell'Ammiragliato, alle ore 21 tutte le sere un usignolo con diploma canta. Donne pallide e bellissime si appoggeranno con i gomiti alle balaustre del lungofiume e aspetteranno: probabilmente voi. Nella reggia secentesca, alla luce dei candelabri, in onore vostro il principe dar una festa, non udite i violini che cominciano?' Ma non vero.
Nella immensa citt che nessuno di voi conosce n mai conoscer, nella citt fatta dalla mia stessa vita (parchi palazzi addii gasometri ospedali primavere caserme portici Natali stazioni ferroviarie statue amori).
Dio, come sono solo.
I passi riecheggiano misteriosi da una casa all'altra dicendo: Che fai? Che vuoi? Non ti accorgi come tutto inutile? Sono partiti.
I bagliori dei fari si sono dissolti nella notte in direzione del deserto.
Non c' pi nessuno? Ahim, le uniche parvenze umane che si aggirino, l'avete constatato spero, non sono che fantasmi e laggi, nei meandri dei quartieri bassi, montagne di orribili tenebre si accumulano.
Un orologio chiss da quale torre batte le ore ventitr.
No.
Per grazia di Dio, non completamente solo.
C' una creatura che mi cerca.
In carne ed ossa.
Dal fondo del corso 18 Maggio, sotto i raggi verdastri dei lampioni, troc troc, ecco, si, avanza.
Un cane.
Ha il pelo lungo, nero.
Ha un aspetto mite e pensieroso.
Assomiglia stranamente a Spartaco, il barbone che avevo una quindicina d'anni fa.
La stessa sagoma, la medesima andatura, l'identico volto rassegnato.
Assomiglia?
Altro che assomigliare: lui in persona, Spartaco, vivo simbolo di stagioni lontane che adesso sembrano felici.
Mi viene proprio incontro, mi fissa con il profondo pesante sguardo che hanno i cani, pieno di ansie e di rimproveri.
Fra poco, gi lo immagino, mi salter addosso con mugolii di gioia.
Invece, quando a due metri e io allungo la mano per accarezzarlo, lui scivola via, estraneo, e si allontana.
'Spartaco!', grido, 'Spartaco!'.
Ma il cane non risponde, non si ferma, non volta neanche il muso.
Lo vedo, pecorella nera, rimpicciolire, dietro e fuori i successivi aloni dei fanali.
'Spartaco!', chiamo ancora.
Niente.
Troc troc.
Adesso non lo si vede pi.


P.S. Altri racconti e i precedenti post su fumetto, letteratura, illustrazione ed altro, li potete trovareQUI.